Psicoterapia costruttivista

Psicologa, Psicoterapeuta Costruttivista, specializzata in adolescenza.

Ricevo a Cecina e a Lucca.

In ottica costruttivista non esistono categorie e criteri diagnostici.

Non esiste un manuale di consultazione perché il presupposto di base è che ogni persona costruisce dinamiche proprie e molto diverse da qualunque altra persona, per questo non pensabili in categorie.

La sintomatologia riportata da un paziente, in questa prospettiva, diviene disfunzionale solo nella misura in cui è disturbante per il paziente stesso, e non dipende dal soddisfacimento o meno di criteri nosografici (come nei principali Manuali Diagnostici). In altre parole, se la persona si sente in equilibrio, (a patto che non diventi pericolosa per se stessa e per gli altri) non si può parlare di alcun disturbo.

L'unica operazione possibile riguarda il raggruppamento di Organizzazioni di significati, più o meno compensati (ovvero con un equilibrio più o meno funzionale per la persona).

  • Approfondisci

    Organizzazione di significato tuttavia non significa affatto sintomatologia, tutti noi durante l'infanzia ne abbiamo costruita una che ci ha guidato in passato, ci guida tutt'ora e ci aiuta a dare significato al mondo e a ciò che ci circonda.


    Raggruppare i significati in un'Organizzazione può servire quindi come esempio di ragionamento clinico, per dare un'idea di come sia possibile assemblare le varie componenti della personalità, tenendo bene a mente che non esiste una sola Organizzazione (Depressiva per esempio), ma miliardi e miliardi di Organizzazioni (Depressive)! Esistono quindi tante Organizzazioni quante sono le persone su questa terra!


    In questa sezione troverai la descrizione delle 4 Organizzazioni di significati in ottica Costruttivista, e potrai divertirti a scoprire quale organizzazione senti più vicina a te.


    Potrai inoltre avere un'idea di come si lavora in Terapia Costruttivista, e cosa potrai aspettarti se deciderai di intraprendere questo percorso.


    Consultando le varie sezioni delle Organizzazioni di personalità potrai notare come spesso la parte razionale di noi conosca molto bene in quale tipologia di significati possiamo più facilmente collocarci, ma nonostante questo, cambiare non sia altrettanto semplice. Niente di più naturale! Questo accade perché cambiare presuppone un percorso che non passa dalla testa e non si attua con un ragionamento (come quello che facciamo valutando quale Organizzazione ci è più congeniale), ma dalla pancia, entrando emotivamente in contatto con ciò che sentiamo di essere.


    È il passaggio da "Io lo so" a "Io lo sento", a rappresentare la chiave di volta.


    La persona che si accinge a immergersi in una terapia costruttivista intersoggettiva dovrà aspettarsi molte più domande che risposte. Il terapeuta è una guida importante nel percorso di conoscenza interiore, ma il vero ricercatore ed esperto di sé è la persona stessa. Sarà lui, sotto supervisione del terapeuta, a costruire la propria mappa interiore, un documento conoscitivo dettagliato in cui ogni aspetto del Sé è stato accuratamente compreso e collocato all'interno della più ampia complessità della persona.


    Ogni caratteristica della persona ha una funzione precisa per la persona stessa, risponde, cioè, a un bisogno.

    Più si entra in contatto con i propri bisogni, più sono pensabili modi alternativi per soddisfarli. La conoscenza interiore apre nuovi scenari e possibilità.


    Questa è, in sintesi, l'essenza del cambiamento.

Contatti

"Quando una realtà mi viene spiegata da un soggetto, più che comprendere qualcosa circa la realtà spiegatami, comprendo maggiormente come il soggetto vede quella realtà. In altre parole, più che conoscere la realtà, finisco per conoscere il soggetto che la descrive."

Von Glasersfeld

Le Organizzazioni di personalità in ottica costruttivista

Il Nostalgico

  • In ottica costruttivista

    Il Nostalgico


    La reazione di un bambino che ricerca cura e accudimento e sente di ricevere rifiuti (più o meno espliciti) può essere il senso di colpa (“se nessuno mi vede, è colpa mia”). Assumersi la responsabilità ha la funzione di controllare un mondo altrimenti imprevedibile e minaccioso (“se non posso fare niente, allora non ho speranza, ma se è colpa mia, forse posso fare qualcosa”).


    In quest'ottica, l'intera vita sarà spesa a cercare di essere degno e a non sentirsi mai tale (perchè ci si è costruiti come non meritevoli)!


    Come?


    Si inizia a strutturare il Sè indegno: non si possono comunicare i propri bisogni perchè minacciosi nella relazione (rischio di rifiuto). Ci si può avvicinare all'altro al prezzo di non mostrare gli aspetti bisognosi del Sè, strutturando un Sè inautentico. Questo meccanismo è del tutto consapevole per cui, coscienti di star imbrogliando l'altro si diventa ancora più disprezzabili a noi stessi. “Non ti posso dire chi sono pechè non mi accetteresti e ti perderei ma proprio perchè non ti faccio vedere chi sono mi disprezzo ancora di più!”.


    D'altra parte, la sensazione di svalore personale è avvertita come l'unico modo possibile per spiegarsi il Sè e il mondo ed è un modo consapevole di spiegarsi la realtà.


    Sentire di non farcela, che tanto non andrà bene, che comunque non ce la farò, che non cambia niente anche se ci provo, è il modo che la persona ha trovato per difendersi dalla sensazione di disperazione che emergerebbe se provassi e non ci riuscissi (esperienza già fatta da bambini con le figure di attaccamento).


    Il sintomo (depressivo in questo caso) ha sempre una funzione importantissima per la persona ecco perchè deve essere compreso, non eliminato!


    Come faccio, con queste sensazioni, a vivere nel modo?


    Prendendomi cura degli altri, essendo autosufficiente e non facendomi vedere come sono davvero può salvare dal rifiuto, dal senso di impotenza, di mancanza di speranza e di rabbia. Presentare la parte meno rischiosa, quella che non fa richieste, che ha competenze valorizzate dalla figura di attaccamento, che mostra abilità ed evitare gli insuccessi che comprometterebbero anche la capacità di essere accettato diventa il modo per proteggersi.


    Ma l'aspettativa di non ricevere alcun supporto al fallimento può anche essere affrontata con agonismo compulsivo, “devo vincere per forza”, “devo farcela da solo”, “non posso mollare”.


    Spesso ci si prefiggono obiettivi da raggiungere per poi, una volta raggiunti, scoprire che non c'era un reale interesse di raggiungere quella meta se non dimostrare di esser capace, di potercela fare.


    L'organizzazione depressiva quindi non accetta mezzi termini, o l'amore manca del tutto (perchè sono indegno) oppure una persona salvifica arriverà per magia e mi porterà in salvo.


    Nell'adolescenza il pensiero è molto dicotomico nei termini di idealizzazione/svalorizzazione di sé e degli altri, la sensazione di sentirsi condannato ad un destino di solitudine e di esclusione oppure di essere chiamato attraverso lo sforzo e l'abnegazione a una vita di elezione, eletto a fare grandi cose solo dopo aver sofferto! “Senza fatica e senza sforzo non raggiungi nulla anzi, le cose ottenute così non valgono niente.”


    E' possibile che la solitudine rappresenti un rifugio dal dolore o che i rapporti affettivi siano vissuti solo a distanza di sicurezza. Si può rinunciare ad avere figli come sottovalutazione delle proprie capacità, oppure si può pensare il bambino come salvifico a colmare tutto il vuoto che c'è dentro.


    L'atteggiamento di un'organizzazione depressa è volto a produrre rifiuti e abbandoni o attraverso l'accudimento compulsivo confermando l'idea che qualcosa dentro di me è profondamente sbagliato.


    A questo punto vi chiederete a cosa ci serve confermare qualcosa di così negativo di noi! Ebbene, in base alle esperienze infantili vissute questo è l'unico modo che ci si è potuti costruire per potersi spiegare quello che accade e quindi muoversi nel mondo, e per quanto negativo è sempre meglio di non saper dare un senso alla realtà che ci circonda!

  • Terapia

    La funzionalità del sintomo depressivo è quello di riposarsi: la persona non ha voglia di fare più nulla, come se, se non ti fermi da solo ti fermo io (il sintomo).


    Il sintomo blocca, ma sempre con l'idea che sia colpa tua, con l'idea di mantenere questa visione negativa del Sè: “se non fai niente non vali niente e in più sei cosciente di esserti fermato e di non star facendo niente, per cui sei disprezzabile”.


    La prima fase della terapia consiste nel comprendere la funzionalità del sintomo depressivo.


    Sapersi accettare senza giudicarsi è l'unica strada possibile al cambiamento.


    C'è un paradosso secondo cui nel momento in cui ci si accetta, si cambia, ecco, se pensate di essere un'organizzazione depressiva si tratta proprio di questo!


    L'obiettivo terapeutico, consiste nel trovare, attraverso l'esperienza di indagine interiore, un altro modo per spiegarsi la realtà, per dare senso a quello che ci accade fuori e dentro, ed è la persona stessa a scegliere quale.


    Nessun terapeuta potrà mai suggerirvelo per un motivo molto semplice, lo sapete solo voi.

L'Incerto

  • In ottica costruttivista

    L'Incerto


    Questi bambini si caratterizzano per aver vissuto esperienze di imprevedibilità da parte delle figure genitoriali. Il bambino vive contemporaneamente messaggi genitoriali opposti: da un lato l'aspetto delle cure eccessive (ordine, igiene, preoccupazioni materne rispetto al pendere freddo, alle malattie, al cibo ecc..) dall'altro l'aspetto del distacco affettivo (non curanza rispetto ai bisogni affettivi ed emotivi del bambino, le sue paure, le sue insicurezze). Si ipotizzano richieste genitoriali “eccessive” e inadeguate rispetto all’età del figlio, richieste di sottomissione acritica alle regole genitoriali (con impossibilità di esprimere i propri bisogni), proibizioni implicite dell’espressione di emozioni, l'aggressività e la sessualità sono vissute non solo da controllare, ma anche da non provare. Il mondo sembra presentato come fonte di pericolo, incomprensibile e ostile.


    Da tutto ciò può emergere nel bambino (e poi nell'adulto) una difficoltà a costruire un'identità personale stabile per un alternarsi continuo di schemi che risultano inconciliabili: genitore disponibile, completamente dedito al figlio (io amabile) e genitore controllante, esigente, emotivamente rifiutante (Io non amabile).

    Accade quindi che in questa atmosfera familiare possa svilupparsi come reazione nel bambino un'impossibilità di rappresentarsi l’ambivalenza e la ricerca di certezze compensative.

    La formazione di una personalità più rigida è sentita come più rassicurante, con il conseguente iniziale ricorso a rituali, pensieri ripetitivi, richieste di rassicurazione ecc.. (insorgenza precoce della sintomatologia ossessivo-compulsiva).


    Nell’adolescenza si assiste alla costruzione di un’immagine duplice e inconciliabile nei termini di sé buono/sé cattivo e ad una visione della realtà nei termini di giusto/ingiusto, bello/brutto.

    Decidere tra queste polarità è impossibile e la consapevolezza di non riuscire ad effettuare un'integrazione tra queste parti crea una profonda sofferenza identitaria (chi sono io?).

    Nel tentativo di interpretare le esperienze e dare un senso a ciò che accade, la persona va alla ricerca di certezze definitive e questo porta a dubitare di qualsiasi cosa.

    Nelle relazioni interpersonali si ricerca un’identità personale per differenza e contrapposizione (es io non sono come lui, io questo non lo farei mai).

    L'esigenza di costruire e definire la realtà e l'impossibilità di farlo crea inoltre una difficoltà a differenziare ciò che è rilevante da ciò che è irrilevante. Si sviluppa quindi un'attenzione ai dettagli (tendenza a raccogliere un numero sempre maggiore di dati). Il controllo è l'arma utilizzata per rendere la realtà che ci circonda più definita e prevedibile, è generalizzato sui comportamenti propri e altrui e sul mondo delle cose. Regole astratte sono percepite come assolute, si tratta di persone che utilizzano prevalentemente criteri esterni (pricìpi, morale, etica, senso comune), perfezioniste, precise, ordinate, abitudinarie, che seguono una morale scrupolosa e che raramente riescono a lasciarsi andare.


    Eventi scompensanti possono corrispondere ad alterazioni significative dell’equilibrio emotivo (sia in positivo, sia in negativo) che non riescono ad essere costruite in termini di significato e usuale mancanza di eventi rilevanti a cui connettere il processo di scompenso (spesso i sintomi sono riportati come “presenti da sempre”).

  • Terapia

    L'intero processo terapeutico è definibile come un percorso volto alla comprensione del significato e della funzione della sintomatologia ossessiva e compulsiva.

    Il percorso terapeutico è volto ad aiutare il paziente a spiegarsi il mondo cercando dei criteri più interni, a costruire significati propri rispetto a ciò che accade (lasciando un po' da parte, morale, etica e regole comuni, esterne a sé) nelle relazioni quotidiane con gli altri, in particolare con le persone affettivamente significative.

    Ripartendo da come la persona si è costruita (eventi di vita e significati loro attribuiti) si cerca di individuare cosa abbia portato allo sviluppo della sintomatologia come “migliore” modalità possibile per fronteggiare l'impossibilità di costruire la realtà in modo univoco.

    Ogni sintomo infatti ha per la persona una funzione importante che deve essere compreso.

    L'obiettivo terapeutico riguarda la possibilità di prendere contatto con le proprie emozioni (e della loro influenza su pensieri ed azioni) partendo da un'accettazione sia del proprio modo di essere sia della tendenza a mettere in atto determinati meccanismi di controllo in situazioni percepite particolarmente ansiogene.

    Non solo con i pazienti con personalità ossessiva, ma molto più in generale, se ci sentiamo in una situazione di pericolo non è solo giusto, ma diventa assolutamente importante difendersi.

Il Fuggitivo

  • In ottica costruttivista

    Il Fuggitivo


    La caratteristica del Fuggitivo a partire dai messaggi genitoriali è una dimensione doppia:

    1. Di solito la relazione di attaccamento è caratterizzata da un iper protezione e ansia da separazione delle figure genitoriali che viene trasmessa al bambino, connotazione del mondo esterno pericoloso, attenzione alle malattie e alla vulnerabilità fisica, definizione del figlio come fisicamente debole e incapace di gestirsi autonomamente senza controllo e protezione. Non è detto che tutte queste cose siano presenti però stanno tutte sulla stessa dimensione: Io persona debole. Tutti provengono dall'ansia da separazione: c'è bisogno di proteggere, consegue il non lasciare autonomia al figlio che si traduce nella costruzione di un sé debole (debolezza fisica, decisionale, debolezza di non poter stare senza protezione, in termini di autonomia).
    2. la relazione tuttavia presenta anche aspetti di ipercontrollo, intrusività, limitazione dell'esplorazione e dell'autonomia ambientale, definizione di regole e di obbedienza non legate alla performance ma all'obbedienza in sé (quindi si deve far così, viene dall'esterno, devo far così perché mi viene detto che devo far così, punto! La regola diventa una regola costrittiva), controllo delle relazioni personali e delle scelte di vita, inibizioni delle manifestazioni emotive (non per forza distanziate, ma non manifestate) che porta alla costruzione di un Io persona costretta.

    Questi aspetti sono ugualmente compresenti con la possibilità che una delle due modalità abbia più peso.

    La costruzione dell'identità personale si viene a costruire su questo doppio, io persona debole, io persona costretta. La debolezza mi porta automaticamente al bisogno che qualcuno mi protegga ma l'io persona costretta va nella dimensione esattamente opposta (perché la costrizione ovviamente è sentita come bisogno di libertà). Le due dimensioni sono inconciliabili.


    Io persona di debole: senso di fragilità, non autonomia, bisogno di controllo e protezione (ecco il doppio) perché non sono in grado di affrontare da solo un mondo pericoloso.


    Io costretto: mi porta a costruire tutte le situazioni di vita in termini di costrizione (spesso anche le domande costringono in terapia). Qualsiasi situazione è costrittiva.


    Per essere protetta quindi la persona non ha scelta, deve sentirsi costretta. Nella misura in cui sono debole devo essere costretta ma se mi sento costretto ho bisogno di libertà.

    Come è possibile riuscire ad essere protetto senza essere costretto? (dubbio paradossale del fobico). Spesso la soluzione che la persona utilizza per mantenere un equilibrio è trovare una persona di protezione che sia anche controllabile.

    È ipotizzabile con il passare del tempo una sofisticazione della strategia interna che porta ad uno sviluppo graduale di meccanismi di compenso basati sul controllo che non si esauriscono nel solo controllo dell'altro ma diventano anche controllo su di sé.

  • Controllo

    Rispetto a sé: controllare quanto più possibile le sensazioni di debolezza, non posso fare a meno della figura di protezione perché sennò la mia sensazione di debolezza emerge, perciò se ci sono delle sensazioni di rabbia, di non accordo, di conflittualità e così via con la figura di protezione questo deve essere controllato, eliminato, anche non sentito (in questo caso c'è un distanziamento) La persona si permette anche di arrabbiarsi ma sempre entro i limiti della compatibilità con la relazione stessa (dipende dal tipo di relazione, dal tipo di partner ecc).


    Il partner di solito ha alcune caratteristiche: capacità di essere protettivo, aiutare con livelli più o meno elevati di sopportazioni e arrabbiature varie.

    Il controllo su di sé difende dalla presunta debolezza personale, controllandomi evito di lasciarmi andare alle emozioni che renderebbero evidente la mia debolezza, difende dal rischio di un distacco emotivo dalla figura di attaccamento attraverso l'evitamento di comportamenti ostili nei loro confronti, comportamenti difformi alle loro richieste, innamoramenti verso persone diverse dal partner.


    Rispetto al mondo: il controllo sulla figura di protezione serve a garantirsi che non sgarri rispetto alle sensazioni potenzialmente pericolose alle situazioni nuove che potrebbero diventare imprevedibili.

    Il controllo sul mondo circostante scongiura dal rischio di perdite affettive, controllando il partner mi garantisco la continuità del rapporto e permetto un dosaggio accurato della protezione: se ti controllo mi puoi proteggere senza costringermi (da un lato controllo che il partner non sgarri così non lo perdo, dall'altro se mi sento forte controllandoti posso lasciarmi proteggere). Evita l'imprevedibilità delle situazioni nuove che potrebbero risultare pericolose, solitamente quelle vissute come costrittive col rischio di rendere evidente una propria debolezza (“se mi sento male mentre sono al cinema mi devo alzare tutti vedono tutti la mia debolezza”), che danno la sensazione di non poter uscire o di fare una figuraccia.


    Ebbene, fin qua si può anche non parlare di sintomi purché una persona riesca a sviluppare sistemi di controllo in maniera sofisticata, esempio: se io mi devo basare su un partner sentimentale è più difficile, perché se mi manca la figura perdo tutto quindi questa non è una strategia sofisticata di controllo (accade per esempio di potersi arrabbiare terribilmente con i defunti perché se ne sono andati. La rabbia non è dovuta in questo caso alla perdita in sé per sé ma alla convinzione di non farcela senza la figura di protezione). Invece, una persona fobica compensata ha una rete, non ha una figura di protezione, ha una serie di amici, di situazioni in cui si può muovere con una certa libertà (organizzazione fobica compensata). Avere una buona rete amicale e familiare protegge dalla sintomatologia disturbante. Inoltre il fobico, sognando la libertà, spesso riesce ad organizzare un lavoro autonomo e quindi che lascia maggiore libertà (giornalisti, imprenditori, artisti).


    Ovviamente tutto questo ha dei costi: se i sistemi di controllo sono adottati in maniera massiva allora si entra all'interno di un paradosso: per essere libero è necessario controllare e controllarsi, ma questo limita la libertà ovviamente! Più mi controllo e controllo più limito la mia libertà, più controllo gli altri e più sono dipendente da loro, più controllo me più temo e non riconosco le mie emozioni (il lavoro in terapia si basa soprattutto sul riconoscimento di ciò che avviene dentro).


    Scompenso: di solito è connesso con l'ipotesi di perdita della figura di protezione. E come può configurarsi? Il partner si è stancato di me, ha un'altra storia, temo che abbia un'altra storia, oppure io inizio a pensare a qualcun altro: infatti può accadere di percepire i partner come bravi, perfetti ma un po' noiosi, incontrare una modalità emotiva più attivante può essere molto attraente.


    Si tratta però di figure meno capaci di proteggere e di territori completamente sconosciuti.

    E' su questa incertezza che spesso si instaura la sintomatologia fobica: l'ansia stringe la relazione per cui se mi viene paura o che l'altro si allontani o che io mi possa allontanare l'ansia non mi permette di stare lontano e qualunque dubbio si annulla.

  • Terapia

    Una terapia basata sull'eliminazione del sintomo è riduttiva perché l'ansia rappresenta solo un aspetto della sintomatologia ansiosa.

    L'ansia infatti è una cosa terribile perché inspiegabile, rafforza la sensazione di non potersi fidare di sé, e la propria debolezza.


    Spesso gli eventi che accadono non vengono percepiti minimamente come ansiogeni, e capire che per esempio è stata la tua domanda a farmi entrare in ansia, permette di sperimentare l'ansia in quel momento esatto senza portarmela dentro e dà la possibilità di dare maggior senso al sintomo, inizia cioè ad esserci un legame tra ciò che avviene dentro e ciò che mi succede fuori.


    L'obiettivo terapeutico è entrare in contatto con una sensazione che esiste in questo momento, esplorandola, per legare gli eventi in termini di causa effetto e dare maggior senso a ciò che fino a quel momento è risultato inspiegabile e quindi minaccioso. 

Il perfezionista

  • In ottica costruttivista

    Il perfezionista


    Anoressia.

    Nel controllo alimentare il corpo è l'unico ambito in cui è possibile per la persona riuscire a recuperare la sensazione di controllo rispetto alla propria esistenza, in quanto il disturbo alimentare è caratterizzato da una sensazione pervasiva di impossibilità di controllare qualsiasi aspetto della propria vita e questo spiega anche perchè sia egosintonico (ovvero non sentito come un problema).

    Se questo è il modo che la persona percepisce come l'unico possibile per avere un qualche tipo controllo su di sé è evidente che il sintomo rappresenta l'ambito di percepita libertà personale quindi non può essere eliminato.

    Le condotte autolesive hanno, a questo proposito, la funzione di sentire il corpo. Il corpo diventa in qualche modo anestetizzato quindi il prodursi una lesione e il dolore relativo permette di sentire qualcosa di sé, di esistere in relazione al corpo.

    Il dolore dell'anoressica diventa perciò un dolore “piacevole” per il fatto di percepire in quel momento di avere un corpo in cui risiedere (non quindi in senso masochistico).


    Nell'ambiente familiare spesso la relazione madre-figlia è invischiante, con una difficoltà nel processo di differenziazione da un lato, e una sensazione di estraneità verso questa unica entità dall'altro. L'esperienza raccontata dalla figlia non coincide con quella raccontata dalla madre ma è la madre a dettare il significato dell'esperienza. La sensazione di non essere più padrona delle proprie sensazioni e quindi nemmeno di quelle fisiche dipende dal fatto che la mia esperienza viene costruita da qualcun altro.

    Questo non permette la costruzione di parametri interni che guidano la persona, e quelli che utilizzo (esterni) si ha come la sensazione che non calzino per niente bene.

    La persona non può permettersi di fidarsi di se stessa, perchè non avendo criteri interi seguire le proprie sensazioni (sconosciute) espone al pericolo dell'imprevedibilità.


    Bulima.

    L'attacco bulimico è un episodio che avviene nel qui ed ora e consiste nell'abbuffata e nella successiva condotta eliminatoria.

    La crisi bulimica avviene nella maggior parte dei casi, in momenti specifici di emozioni forti e non gestibili (ansia, rabbia, tristezza, vuoto) per cui c'è bisogno di riempirsi, calmarsi (rispetto all'ansia o alla rabbia). Quando c'è uno stato di attivazione che non riesco né a controllare né a spiegare fino in fondo il riempirsi di cibo diventa qualcosa di autorassicurante, tranquillizzante, come un ansiolitico. Più a lungo termine si ha, come risultato di diversi attacchi bulimici, l'obesità, in cui il corpo può sperimentare un modo per salvaguardare la percezione della propria identità personale in termini negativi (il corpo come schermo su cui riversare l'aspetto negativo) “se nessuno mi ama è perchè sono grassa”, permette cioè di evitare di prendere in attenta considerazione altri aspetti di sé, perchè tutto è spiegato con l'obesità.

    Le condotte espulsive sono tentativi di controllo del sintomo.

    Mentre cioè nella persona con sintomi anoressici il controllo è totale nella personalità bulimica c'è un crollo e un recupero.


    Aspetti familiari:

    L'affetto familiare può essere veicolato tramite al cibo, tuttavia la frase “mangia quanto vuoi” permette all'altro di autoregolarsi, è quindi nel momento in cui tipicamente devi mangiare perchè è giusto mangiare, perchè non hai mangiato abbastanza, perchè vuol dire che hai fame.. che gli esiti possono essere due, o si mangia parecchio o si rifiuta il cibo. Il meccanismo è sempre lo stesso: ciò che mi viene proposto mi rende difficile stare a contatto col mio corpo perchè non è un criterio che riconosco come mio. Il cibo è comunque solo un canale, è un altro da me che detta e costruisce il significato della mia esperienza, nel cibo e in altre situazioni di vita: "lo vedo che sei triste ma non c'è da esser tristi per cui basta essere tristi, sorridiamo".


    Relazioni familiari coniugali:

    Solitamente non armoniche oppure mancanti di affettività fino a manifestazioni esplicite di disprezzo o critiche dell'altra figura genitoriale che spesso possono anche rompersi. Si tratta tipicamente di relazioni insoddisfacenti che vengono presentate come perfette. Questo crea un'ulteriore confusione tra ciò che mi viene presentato e ciò che io sento (doppio e perciò non chiaro, inaffidabile).

  • Terapia

    Quando una persona con organizzazione alimentare arriva in terapia, solitamente ha ricevuto dall'esterno innumerevoli esortazioni a prendere peso, mangiare, regolarizzare il proprio regime alimentare.

    La regola fondamentale in terapia diventa quindi non parlare di cibo, di peso, di alimentazione, questo problema non esiste per la paziente e quindi non esiste. E' indispensabile creare una relazione di fiducia e questo passa inevitabilmente dalla comprensione. E' molto difficile che si crei una relazione di affidabilità e di fiducia se si mina l'unico elemento solido che la persona sente di avere.

    Molti si chiedono se l'anoressica sa di avere o meno un problema alimentare. La risposta più corretta a questa domanda è che: lo sa, ma non lo sente. Una parte della persona racconta logicamente e con estrema lucidità le problematiche incontrate, collega i vari aspetti e si dà delle pseudo spiegazioni, ma un'altra parte di lei (quella del contatto emotivo) è completamente vuota.


    Il lavoro è quindi incentrato quasi completamente sulla fiducia, intesa come la sensazione che si passa all'altro di sentirsi compreso, prescindendo dal sintomo alimentare. Se questo riesce e la terapia va avanti, allora il disturbo alimentare si allenta per conto suo. Piano piano l'aspetto alimentare si normalizza. Il cambiamento sintomatico è l'effetto di un'iniziale progressiva fiducia nella possibilità di esistere, di essere presente a sé, stando in contatto con ciò che si sente (avvicinarsi senza avvicinarsi). E' una conseguenza di altri passaggi terapeutici e si modifica indirettamente in relazione a questi.

    Il modo possibile per occuparsi del sintomo è comprenderne la funzione, mi esprimo con un esempio: “Ieri ho svuotato il frigorifero”.. "Ok, allora cerchiamo di capire insieme perchè ha avuto bisogno di svuotare il frigorifero".

    Si tratta di sensazioni che non mi posso portare dietro troppo, il tentativo che faccio è di chiuderle a chiave e ma poi esplodono in altro modo.


    Spesso, è proprio il fatto di non dare valore alle proprie sensazioni che non permette a loro (e quindi a me) di esistere.

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